La placca dentale o placca batterica, è l’insieme di microrganismi, residui di cibo e molecole provenienti dalla saliva, che si deposita sulle superfici dei denti. La sua mancata rimozione espone al rischio di carie, infiammazione delle gengive e dei tessuti profondi di sostegno del dente.
In condizioni normali e di salute orale la bocca è “popolata” da più di 700 differenti specie di batteri, la maggior parte dei quali non sono dannosi e vivono in armonia con il loro ospite. La mancata rimozione della placca a intervalli regolari dei depositi che si accumulano sulle superfici dei denti crea uno strato fortemente adeso: la placca dentale inizia a maturare e si sviluppano al suo interno dei batteri capaci di determinare danno ai denti ed alle gengive. Si creano quindi le condizioni ambientali che favoriscono la proliferazione dei ceppi batterici più pericolosi e dannosi, con conseguente compromissione delle difese dell’organismo e infiammazione dei tessuti che circondano e sostengono i denti. I batteri, inoltre, possono utilizzare gli zuccheri introdotti con la dieta per produrre acido lattico ed enzimi vari, che provocano la demineralizzazione dei tessuti duri del dente e la conseguente carie dentaria. Ne deriva che un’attenta regolare rimozione della placca a casa e una periodoca seduta di igiene professionale aiutano a mantenere la salute di denti e gengive.
- Cosa è esattamente la placca dentale?
La maturazione della placca dipende dalla crescita e dalla moltiplicazione batterica. La maggior parte dei batteri, infatti, non sopravvive come entità unicellulare indipendente, ma come biofilm, ossia una pellicola costituita da una matrice di polimeri.
Il biofilm si comporta come un microambiente particolare all’interno del quale i batteri hanno caratteristiche e ruoli differenti: alcuni, i primi a depositarsi in ordine di tempo, sono dotati di particolari componenti, che consentono l’adesione alla superficie del dente; altri invece hanno bisogno di tempi più lunghi per depositarsi e sono quindi subordinati, nell’adesione, alla presenza di altri ceppi già insediati.
Una volta inglobati nel biofilm, i batteri si organizzano per distribuire le varie attività metaboliche tra i differenti membri del biofilm stesso. Alcune condizioni ambientali particolari, quali l’assenza di ossigeno, inducono una modifica nella composizione del biofilm, con proliferazione di ceppi batterici patogeni.
La placca batterica può andare incontro a calcificazione per precipitazione di sali di calcio e fosfati presenti nella saliva, creando sulle superfici dei denti un deposito duro, chiamato tartaro. Il tartaro, chiamato anche calcolo dentale, è formato dall’insieme dei depositi minerali che si annidano intorno al dente. Nello specifico, il tartaro è composto per il 70-80% da sali inorganici, in prevalenza calcio, ma anche fosforo, sodio, manganese, carbonato e fluoruro. Il tartaro si forma sia in sede sopra-gengivale che sotto-gengivale. La composizione chimica ed il pH (ovvero il grado di acidità) della saliva sono i principali fattori alla base della formazione del tartaro dentale, in quanto ne possono condizionare la quantità, la velocità di formazione e la sua composizione.
Il tartaro crea una superficie ruvida che favorisce l’accumulo di placca batterica.
- Perché la placca dentale è dannosa?
La placca dentale è il fattore principale di gengivite e parodontite, oltre che della carie. Pertanto, la pulizia accurata dei denti è fondamentale per prevenire sia la carie che l’infiammazione dei tessuti che circondano i denti. I batteri utilizzano le sostanze presenti nei residui alimentari che restano nella bocca contenuti nella placca e, come prodotti del loro metabolismo, rilasciano tossine che sono la causa principale dell’infiammazione dei tessuti parodontali. Se l’infiammazione si estende più in profondità, le fibre che mantengono il dente attaccato alla gengiva e all’osso vengono distrutte, con la formazione di uno spazio, chiamato tasca parodontale. La tasca parodontale, una volta formatasi, favorisce l’ulteriore accumulo di placca al suo interno e crea le condizioni ideali, in assenza di ossigeno, per le specie batteriche più aggressive e dannose, con conseguente ulteriore progressione dell’infiammazione e della malattia. La placca batterica, quindi, va rimossa regolarmente e completamente da tutte le superfici della bocca (denti, gengive, dorso della lingua)!
- Come rimuovere la placca batterica?
La rimozione della placca avviene mediante detersione meccanica, con lo spazzolino, il filo interdentale, lo spazzolino interprossimale (o scovolino). Lo spazzolino elettrico appare essere più efficace di quello manuale. Parimenti si tende a consigliare lo scovolino in quanto più efficace del filo interdentale.Le istruzioni sull’impiego dei diversi strumenti e delle tecniche di spazzolamento più appropriate devono essere impartite dal dentista o dall’igienista dentale e personalizzate da paziente a paziente. È essere necessario eseguire periodicamente delle sedute di igiene orale professionale per integrare l’igiene orale domiciliare. La placca dentale, una volta indurita con la formazione di depositi di tartaro, può essere rimossa in maniera completa solo dal dentista o dall’igienista, mediante strumenti manuali o ad ultrasuoni.
La terapia può semplicemente consistere nell’utilizzo di dentifrici desensibilizzanti specifici o prodotti venduti in farmacia come collutori o gel a base di fluoruri, ossalati o vetri bioattivi che se applicati sulle zone sensibili inducono la chiusura dei tuboli dentinali riducendo, se non eliminando, il fastidio.
Se questi approcci domiciliari dovessero risultare inefficaci si dovrà ricorrere a una terapia nello studio odontoiatrico, attraverso l’applicazione professionale di vernici che agiscono sulla struttura del dente, proteggendola. Se anche le sostanze desensibilizzanti professionali non dovessero riuscire a risolvere la sintomatologia si potrà intervenire con la ricostruzione dei tessuti andati persi. Il professionista dovrà ricostruire lo smalto a livello del colletto del dente oppure, dove le condizioni anatomiche lo permettono, ricorrere a un intervento di chirurgia plastica parodontale, che ha come obiettivo la copertura di tutta la superficie radicolare, con la ricostruzione delle gengive distrutte. Questa tecnica sembra essere il sistema più efficace e risolutivo.
Fonte: gazzettadelsud.it
Gli incidenti ai denti nei bambini possono essere preoccupanti. Se il tuo bambino si tira su da solo tenendosi ai mobili o imparando a fare i primi passi, prima o poi cadrà sulla faccia. Occasionalmente può colpire un dente. Per prima cosa assicurati che il bambino non abbia altre ferite (al viso o alla testa, per esempio) che richiedano un trattamento d’emergenza. Se le sue gengive iniziano a sanguinare, applica una pressione con un pezzo di garza bagnata per alcuni minuti (o fino a quando l’emorragia si ferma). Un succo di frutta ghiacciato può limitare il gonfiore e ha l’ulteriore vantaggio di distogliere la mente del bambino dal dolore. Chiama immediatamente il medico se vedi qualcosa di insolito nelle gengive o nei denti del tuo bambino durante la prossima settimana, o se noti qualche segno di infezione, come febbre, gonfiore e indolenzimento.
Devo portare il mio bambino dal dentista se colpisce un dente?
Se i denti e le gengive del tuo bambino sembrano a posto e non sembra avere dolore, dovrebbe stare bene senza un controllo dentale. Se il dente è scheggiato o incrinato e il tuo bambino sembra soffrire, dovresti portarlo subito dal dentista, perché parte del nervo potrebbe essere esposto. Dovresti anche portare il tuo bambino dal dentista se il dente è molto allentato; potrebbe decidere di estrarlo in modo che il tuo bambino non soffochi se cade da solo. Chiedi anche al dentista di dare un’occhiata a un dente che sembra fuori posto: può valutare se ha bisogno di essere riposizionato. Se il dente è scheggiato ma non sembra dare fastidio al tuo bambino, fissa un appuntamento dal dentista per valutare se ci sono crepe sottostanti o altri danni che non puoi vedere. Può anche riparare il dente limandolo o rattoppandolo con materiale adesivo, se decidi che è importante per motivi estetici.
Cosa devo fare se mio figlio perde un dente da latte?
I denti da latte sono importanti perché aiutano il tuo bambino a mangiare e a imparare a parlare. Inoltre, mantengono un posto nella bocca del tuo bambino affinché i suoi denti permanenti nascano correttamente. Tuttavia, se un dente da latte è caduto, di solito non è un problema perché un dente permanente crescerà al suo posto. Per sicurezza, vai dal dentista per assicurarti che nessun dente sottostante sia stato danneggiato e che il dente permanente abbia abbastanza spazio per crescere correttamente. Ricorda, inoltre, che è estremamente importante mantenere sani i denti di tuo figlio.
Come posso evitare che il mio bambino si faccia male ai denti?
Non puoi prevenire completamente gli incidenti ai denti, ma puoi aiutare molto rendendo la tua casa a prova di bambino, in modo da ridurre al minimo il numero e la gravità delle cadute del tuo bambino. Per esempio, dovrai fissare i tappeti e chiudere le scale. Allaccia sempre la cintura di sicurezza del tuo bambino sul seggiolino dell’auto. Cerca anche di insegnargli a non camminare o correre con oggetti duri in bocca.
Fonte: mammemagazine.it
Tutti vorremmo avere una dentatura bianca e impeccabile degna dello spot di un dentifricio. Ma non è così facile. Spesso infatti il colore dei nostri denti, e anche la loro salute, dipende dall’assunzione di cibi o bevande. Alcuni come il caffè o il vino rosso possono essere invasivi e annerire lo smalto dentale. Si consiglia infatti di sciacquare subito la bocca dopo aver assunto caffè per evitare che rimanga attaccato alla superficie dentale.
Ci sono però anche tanti altri alimenti che possono ledere alla salute dello smalto. Ad esempio le bevande zuccherate, le caramelle, le bibite come la birra, il succo di arancia. Tutto dipende dalla quantità del PH acido che queste sostanze contengono. Attenzione in particolare all’assunzione di questo famoso agrume che potrebbe essere aggressivo per i nostri denti.
Si chiama erosione acida e causa la corrosione dello smalto
Si tratta del limone e in particolare del suo succo. Il limone è un ottimo alleato per la nostra salute, ma l’alto contenuto di acido citrico che possiede è responsabile della cosiddetta erosione acida o dentale. Il limone rimane sulla superficie del dente anche pochi secondi e subito corrode lo smalto. Questo porta a scoprire la dentina che deve invece rimanere coperta sia dagli sbalzi termici che chimici. Le fibre restano quindi indifese rendendo il dente particolarmente sensibile. Per erosione, infatti, si intende una perdita progressiva dei tessuti duri del dente, quindi delle sue matrici minerali, a causa dell’azione di sostanze chimiche. Purtroppo questa situazione una volta aggravata è senza ritorno. Lo smalto una volta rovinato e consumato non si rigenera. Il dente perde luminosità e si annerisce. Se proprio non possiamo fare a meno di assumere il succo di limone la mattina diluito in acqua calda, dobbiamo tenere a mente un paio di dritte. Si sa che il succo di questo agrume favorisce il processo della digestione, ripulisce l’intestino e stimola il metabolismo. Ma il quantitativo di acido citrico da cui è costituito (ne può contenere fino al 3-4%) può essere veramente deleterio per lo smalto dentale.
L’azione esogena del succo di limone è capace di abbassare il PH del nostro cavo orale rendendolo acido. Il limone ha un PH di 2,4 ed è molto in alto tra i valori significativi per l’erosione dentale. Attenzione all’assunzione di questo famoso agrume che potrebbe essere aggressivo per i nostri denti A ogni modo, senza rinunciare al succo di limone, possiamo tenere a mente di assumerlo, e di non mantenerlo troppo a contatto con i denti. Bisogna fare piccoli sorsi oppure ancora meglio utilizzare una cannuccia. In questo modo il quantitativo di acido passa direttamente alla gola. Sciacquare subito la bocca con l’acqua, dopo averlo bevuto, e aspettare qualche minuto prima di lavare i denti. Magari facciamolo con uno spazzolino dalle setole morbide e senza essere troppo aggressivi. Assumere il succo di limone concentrato alza di tantissimo il rischio di corrodere lo smalto dentale. Preferite sempre il succo come condimento per le pietanze, magari al posto dell’aceto o dell’olio.
UN PROBLEMA ANTICO. Potete anche proclamare le verità più sacrosante, ma se siete affetti da alito cattivo (alitosi è il termine scientifico) non otterrete mai la dovuta credibilità (o un posto al colloquio di lavoro). E lo stesso vale se il vostro fisico, charme e simpatia sono una calamita per eventuali partner: l’alitosi è in grado di vanificare ogni tentativo di corteggiamento. La lotta quotidiana contro l’alito cattivo, a quanto pare, era ben nota anche agli antichi. Non a caso 5.000 anni fa i babilonesi provavano già a spazzolare via dalla bocca odori indesiderati con dei ramoscelli, mentre gli egizi inventarono le prime mentine 3.000 anni fa.
CAUSA DI DIVORZIO TRA GLI EBREI. Questo problema non era affatto considerato minore: nella Torah veniva condannata come una seria disabilità, al punto che poteva essere ragione di divorzio.
IL FIATO CATTIVO PUÒ ANCHE CAMBIARE IL CORSO DELLA STORIA. Shāh-Nāmeh (letteralmente «Il Libro dei Re») è una vasta opera poetica scritta dal poeta persiano Ferdowsi, risalente al X secolo, che racconta il passato mitico e storico della Persia. Nel libro si narra della giovane sposa Nahid che viene ripudiata e rispedita in Macedonia dal suo neo-marito, il re persiano Darab, per via del suo alito. La giovane nel frattempo però era rimasta incinta e una volta tornata a casa partorisce un figlio, che verrà chiamato Iskander, e che diventerà il più famoso macedone di tutti i tempi: Alessandro il Grande.
QUAL È LA CAUSA? Un italiano su 4 ha l’alito cattivo abitualmente. Nella maggior parte dei casi i colpevoli sono dei batteri invisibili che se la spassano sulla nostra lingua e le nostre gengive, e che dopo aver banchettato con parti minuscole di cibo, gocce di liquido nasale o tessuti del cavo orale emettono gas, specialmente solfati, mal tollerati dalla maggior parte dei nasi.
Sono pochi gli odori che hanno origine nello stomaco e non hanno niente a vedere col cavo orale. Molto comune, invece, è l’alitosi da parodontopatie, cioè da infiammazioni e infezioni del parodonto, il tessuto di sostegno dei denti, che provocano il sanguinamento delle gengive. Secondo alcune ricerche, a soffrirne in maniera lieve o avanzata sarebbe addirittura il 62% degli italiani.
PERCHÉ L’AGLIO FA PUZZARE L’ALITO? Tutta colpa dell’allicina, molecola instabile responsabile del caratteristico odore dell’aglio. Questa si trasforma rapidamente in composti solfurei, che “regalano” all’alito il suo tono pungente. Il corpo metabolizza la maggior parte di queste molecole nel giro di poche ore, a eccezione del solfuro di metil-allile, che può rimanere in circolo anche fino a due giorni e una volta giunto ai polmoni ripresentarsi nel respiro (è anche responsabile dell’odore agliaceo di sudore e urina).
Lavarsi i denti può mascherare il forte odore dell’aglio, e anche alcuni cibi (kiwi, spinaci, prezzemolo, basilico, latte, funghi e riso) possono essere dei buoni alleati contro l’alito cattivo, degradando o intrappolando i composti solfurei.
4 CIBI (E UN NEMICO) CHE CAUSANO L’ALITO CATTIVO. Aglio e cipolla non sono i soli a favorire l’alito cattivo. C’è anche il caffè, per esempio: la caffeina rallenta la produzione della saliva, che ha il compito principale di lavare via i batteri e tenere la bocca pulita; lo stesso meccanismo vale per il vino. Gli aminoacidi contenuti nel formaggio favoriscono la formazione di composti solforati volatili molto pestiferi; lo stesso meccanismo vale per le carni rosse. Infine il fumo: favorisce l’alito cattivo (oltre a creare guai ancora peggiori).
DENTI E PAVIMENTI PULITI. Se il fiato pesante era considerato un flagello già nell’antichità, bisogna aspettare la fine del XIX secolo affinché venga riconosciuto come diagnosi medica. Solo allora il termine alitosi inizia a diventare comune, grazie anche agli sforzi non di certo disinteressati di un’azienda chiamata Listerine. Fino agli inizi del ‘900 Listerine produceva un antisettico multiuso, venduto anche come disinfettante chirurgico o lava pavimenti. Ma Gerard Barnes Lambert, uno degli eredi dell’impresa, spinse negli anni ’20 per campagne pubblicitarie incentrate sull’uso di Listerine come collutorio. L’alitosi veniva dipinta come una disgustosa condizione medica capace di compromettere la vita sentimentale o gli affari. La nostra moderna fobia verso l’alito cattivo, e la paura di non essere accettati a causa di questo disturbo, ha origine proprio in quegli anni.
COME CAPIRE SE SIAMO “TOSSICI”? Conoscendo le cause dell’alitosi, gli scienziati hanno escogitato modi per combatterli. O prevenirli: dato che nessuno può percepire la qualità del proprio fiato ma una persona su 5 soffre spesso di alitosi, Mel Rosenberg, medico e fondatore della Società internazionale per le ricerche sull’alito cattivo, ha creato un test, “Ok to kiss” (“baciabile”), che permette di valutare il proprio alito, misurando il beta-galattosidasi. Si sputa in un cucchiaio trattato chimicamente: se diventa blu, meglio rinunciare ai baci.
RIMEDI NATURALI. Per combattere l’alito cattivo Plinio il Vecchio (23-79) suggeriva cenere di testa di lepre o i denti di asina, latte d’asina, polvere di corna di cervo e pietra pomice. Oggi ricorriamo a caramelle al mentolo o a chewing-gum che hanno però controindicazioni, effetto limitato e con lo zucchero possono, sopo un primo sollievo, peggiorare la situazione.
L’alternativa naturale ad essi è rappresentata dai chiodi di garofano, da masticare al momento del bisogno. Come detto, poi, anche alcuni cibi (kiwi, spinaci, prezzemolo, basilico, latte, funghi e riso) possono essere dei buoni alleati contro l’alito cattivo, degradando o intrappolando i composti solfurei.
VITTORIA DI PIRRO. Tra spazzolino, collutorio e filo interdentale, le armi a nostra disposizione ci permettono finora solo vittorie momentanee. Ma un atteggiamento più aggressivo non porterebbe da nessuna parte: la guerra di sterminio toglierebbe di mezzo anche le comunità batteriche che contribuiscono positivamente all’ecosistema della bocca. Meglio un approccio più integrato, magari impiantando nel cavo orale precise comunità batteriche, affinché tengano sotto controllo la proliferazione di quelle più problematiche, senza eliminarle del tutto.
HITLER E L’ALITO CATTIVO. Hitler aveva una vera passione per il cioccolato, la panna e i dolci in generale. Il che gli provocò numerosi problemi ai denti. Il dittatore nazista però aveva il terrore del dentista e non si faceva curare. Così, i denti guasti alla lunga provocarono a Hitler una perenne alitosi.
Almeno due minuti, per almeno due volte al giorno. E con lo spazzolino elettrico, soprattutto se si accusano problemi alle gengive. Per essere certi di spazzolare a sufficienza? Si possono usare “paste” che si colorano quando si tocca il giusto limite di tempo.
Il minimo sindacale sono due minuti, due volte al giorno. Spazzolarsi i denti dopo aver mangiato è il modo migliore per eliminare la placca e scongiurare carie e gengiviti, ma pochi ci mettono il tempo necessario: la maggioranza usa lo spazzolino per 45 secondi appena, pur ritenendo di farlo a lungo quanto basta. Invece, dopo un minuto si rimuove solo il 27 per cento della placca, dopo due si arriva al 41. Una durata inferiore ai due minuti, inoltre, non permette di agire al fluoruro contenuto nei dentifrici.
«Una pulizia dei denti accurata è la base della prevenzione e deve essere ancora più attenta in chi ha già le gengive un po’ infiammate, ovvero ben 20 milioni di over 35: in questo caso, occorre lavare i denti quattro-cinque minuti anziché i due standard, meglio se con lo spazzolino elettrico anziché quello manuale; per chi soffre di gengiviti, sì anche agli scovolini interdentali al posto del classico filo e, su prescrizione del dentista, al collutorio antiplacca» dice Claudio Gatti, presidente della Società di Parodontologia e Implantologia.
Per arrivare almeno a due minuti, oggi sono disponibili anche dentifrici che cambiano colore quando si tocca questo limite di tempo; essenziale, poi, non sottovalutare i sintomi di un’infiammazione come gengive dolenti, arrossate, che sanguinano o lasciano un poco scoperti uno o più denti.
«La gengivite non curata si trasforma spesso in parodontite che, nella sua forma grave, colpisce oltre tre milioni di italiani ed è la prima causa di perdita dei denti. In Italia ogni anno si spende un miliardo di euro per la patologia e le sue conseguenze, soprattutto per rimpiazzare i denti persi: il 90 per cento dei costi potrebbe però essere risparmiato con una diagnosi precoce, trattamenti tempestivi e soprattutto una prevenzione adeguata», conclude l’esperto.
L’ipersensibilità dentinale è una condizione caratterizzata da un dolore acuto, intenso ed istantaneo determinato da alcuni stimoli (es. il freddo), che in situazioni normali non provocherebbero alcun fastidio.
L’ipersensibilità dentinale è causata dall’esposizione all’ambiente esterno della dentina, che è la struttura del dente presente tra la polpa (parte interna) e lo smalto o il cemento (gli strati del dente più esterni a livello della corona e della radice). In tale condizione la dentina trasmette alla polpa gli stimoli fisici e chimici (ad esempio l’assunzione di bevande o cibi freddi, caldi o acidi, la masticazione, lo spazzolamento o anche la terapia parodontale): quest’ultima reagisce provocando dolore di varia intensità.
La risoluzione di questo disturbo deve passare attraverso l’individuazione della causa che lo ha creato.
Sarà fondamentale quindi effettuare una visita specialistica odontoiatrica per diagnosticare la presenza di difetti dello smalto, carie, fratture dentali, recessioni gengivali o abrasioni. Inoltre, bisognerà sincerarsi della presenza di abitudini predisponenti (come l’assunzione di bevande, cibi acidi o metodiche di spazzolamento traumatico), correggendole o modificando alcuni comportamenti.
L’ipersensibilità lieve legata ad esposizione della radice può essere gestita e risolta tramite l’utilizzo domiciliare di dentifrici, gel o collutori desensibilizzanti. Se il problema persiste, l’odontoiatra identificherà la procedura più idonea a risolvere questo fastidioso sintomo. Una soluzione alternativa per il trattamento della ipersensibilità legata ad esposizione della radice (recessione gengivale) del dente è la copertura della radice con un tessuto gengivale. Tale copertura può essere ottenuta mediante interventi di chirurgia plastica parodontale, efficaci nel ripristinare una corretta anatomia della gengiva. Con queste procedure è possibile risolvere non solo l’ipersensibilità dentinale, ma anche eventuali problematiche estetiche correlate alla recessione. Una valutazione specialistica da parte del parodontologo può identificare l’indicazione a tale trattamento.
Quanti sanno che basterebbe una cannuccia per proteggere i denti dagli acidi delle bevande? E che sarebbe meglio aspettare mezz’ora prima di lavarsi i denti dopo aver mangiato alcuni cibi?
Solo 13 persone su cento sanno che un consumo eccessivo di vegetali e frutta acida (dai pomodori agli agrumi) può danneggiare lo smalto dei denti. Lo rivela l’Accademia di odontoiatria conservativa, secondo cui moltissimi italiani di ogni età hanno segni di erosione dello smalto ma pochi ne conoscono le cause o i sintomi: appena l’8 per cento sa che i denti ingialliti sono un segnale, solo uno su tre che lo è l’ipersensibilità a caldo e freddo. E circa la metà crede (a torto) che lo smalto possa rigenerarsi.
«Il deterioramento è dovuto all’aggressione da parte di acidi nel cibo o in bevande come le spremute di agrumi o le bibite gasate, soprattutto se sorseggiate a lungo senza dare tempo alla saliva di ripristinare il ph orale: basterebbe una cannuccia per ridurre il contatto, ma pochi lo sanno», spiega Lorenzo Breschi, presidente AIC. Per una dieta green ma salva-sorriso è meglio optare per gli ortaggi meno acidi e fibrosi come sedano, broccoli e verdura a foglia, che aiutano anche a “spazzolare” i denti mentre si mastica, e come frutta preferire mele non troppo dolci. «Dopo aver mangiato cibi acidi è bene aspettare mezz’ora prima di lavare i denti con un dentifricio al fluoro per favorire la remineralizzazione: farlo subito significa aggredire di più uno smalto “ammorbidito”. È importante prevenire l’erosione, perché uno smalto fragile aumenta moltissimo il rischio di carie».
Studio Bergamaschi Gilardoni – Dentista a Treviglio, in provincia di Bergamo
Fonte: iodonna.it
Lavare bene i denti non è scontato: se non si è imparato l’approccio giusto è facile che i comportamenti sbagliati proseguano fino all’età adulta, mettendo in pericolo la salute di bocca e gengive. L’errore più frequente? Spazzolare da destra a sinistra è sbagliato! Evita di andare in senso orizzontale: il modo giusto è dall’alto al basso e viceversa, ecco come fare per dedicare la giusta attenzione alla tua dentatura.
TECNICA DI SPAZZOLAMENTO – La pubblicità è spesso un cattivo esempio per quanto riguarda il corretto lavaggio dei denti, perché si vedono persone che usano lo spazzolino muovendolo in senso orizzontale. Ricorda che è necessario tendere la bocca ben aperta: parti dalle gengive e procedi verso il dente. Spazzola dalla gengiva in su, nel caso dell’arcata inferiore e dalla gengiva in giù per l’arcata superiore. È facile da ricordare: dal rosso della gengiva sempre verso il bianco del dente. Il motivo? È lo stesso movimento che faresti per pulire un pettine: lo sporco si annida tra un dente e l’altro, quindi per rimuoverlo in modo più efficace è necessario partire dalla base e andare verso la punta.
I MOVIMENTI CORRETTI – Prima si dovrebbe agire con la spazzolino massaggiando la superficie del dente con un movimento rotatorio, dolce, poi spazzolando in senso verticale, come abbiamo detto, dall’alto verso il basso per l’arcata superiore e viceversa nel caso dell’arcata inferiore. Per effettuare un buon lavaggio bisogna spazzolare ogni dente. Parti dai molari, sopra o sotto, e procedi verso il centro della bocca. Poi spostati dalla parte opposta, procedendo dai molari, per esempio di sinistra, al centro. Infine, prima un’arcata (o l’inferiore o la superiore), poi l’altra.
CONTA IL TEMPO – Secondo alcuni studi le persone tendono a utilizzare meno di un minuto per lavarsi i denti: troppo poco per una corretta igiene orale. La strategia? Esci dal bagno. Stare davanti allo specchio inganna perché sembra di aver impiegato un numero superiore di minuti rispetto a quello effettivo. Passeggia per casa, oppure dai un’occhiata alla tv. Lo consigliano anche diversi dentisti, perché per lavarsi bene i denti non serve guardarsi allo specchio oppure continuare a bagnare lo spazzolino con l’acqua: anzi, gira la manopola del rubinetto… farai un favore alle bollette, ma anche all’ambiente. L’importante è concentrarsi sui movimenti giusti.
IL DENTIFRICIO – La dose di dentifricio da utilizzare non è quella che si vede in tv! La quantità corretta è della dimensione di un pisello, o la punta di un mignolo. Troppo dentifricio toglie aderenza, invece è importante spazzolare la superficie del dente di modo che l’azione di sfregamento delle setole sia efficace. Inizia dalle parti più nascoste, ovvero i molari e i denti dietro la lingua, per poi procedere verso canini e incisivi, più facili da pulire. Ricorda che lo spazzolino deve passare anche sulle gengive e, soprattutto, lungo la linea dove inizia il dente, luogo in cui si accumulano residui e sporco. Lo spazzolino non deve essere troppo duro: setole di durezza media o morbida ti consentiranno di spazzolare energicamente ma con dolcezza, senza danneggiare denti e gengive.
DA NON DIMENTICARE – Prima di terminare l’operazione, ricorda che… anche la lingua va pulita! La moltiplicazione batterica porta all’accumulo della placca, per questo è importante pulire in profondità ogni zona della bocca. Passa lo spazzolino con dolcezza sulla lingua, dall’interno alla punta. Passando la lingua sulla superficie dei denti devi poter sentire una sensazione di liscio e pulito. Poco utilizzato, il filo interdentale è fondamentale per una pulizia completa. Chewing gum e colluttorio? Non sostituiscono lo spazzolino: in particolare, il colluttorio non va utilizzato quotidianamente, bensì per contesti specifici e brevi periodi. Se passi molte ore della giornata fuori casa tieni uno spazzolino in borsa, sarà un valido aiuto per il tuo benessere di ogni giorno.
La popolazione invecchia sempre più e con gli anni che aumentano per ognuno di noi aumenta anche la probabilità di sviluppare un decadimento cognitivo che porta progressivamente a perdita di memoria, difficoltà di ragionamento e progressiva riduzione delle interazioni sociali. Le ragioni che portano ad una progressiva riduzione della prestazione mentale sono molte ma numerosi studi indicano un’associazione stretta tra l’assenza dei denti, il decadimento cognitivo e il rischio di sviluppare una demenza. Le cause di questa correlazione non sono del tutto note ma alcune ricerche suggeriscono che avere meno denti significhi masticare meno e che questo a sua volta possa comportare una riduzione del flusso di sangue al cervello con una compromissione della sua funzionalità.
Una nuova ricerca portata a termine dal Karolinska Institutet di Stoccolma sembra confermare questa ipotesi. In un campione di 557 persone di 77 anni e oltre si è visto che una maggiore difficoltà a masticare si traduce in un rischio aumentato di sviluppare un decadimento cognitivo e una demenza. Questa correlazione non risulta influenzata da altri fattori come l’età, il sesso, il livello di educazione e lo stato di salute complessivo della persona. Questo studio è interessante non solo perché suggerisce quanto importante possa essere la cura dei denti ma soprattutto perché è un ulteriore conferma di come le malattie che ci colpiscono in età avanzata siano multifattoriali e dipendano cioè da molteplici fattori spesso lontani dall’organo oggetto della malattia.
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Filippo Ongaro